Tappa 4: Le Prese (SO) (920 m s.l.m.) – San Valentino alla Muta (BZ) (1450 m s.l.m.). Distanza 85 km.
Per la prima volta puntiamo la sveglia alle 7, non per altro, ma la tappa è lunga e abbiamo una salitina da 1800 m di dislivello. Ci congediamo con Ippolito con cui scambiamo sinceri sorrisi, con un po’ di amaro in bocca perché chissà quante altre cose avrebbe voluto raccontarci e che noi avremmo volentieri ascoltato. Dopo l’ennesima foto all’asta idrometrica di Le Prese (è un must, devo fare le foto alle stazioni di monitoraggio Arpa da mandare agli ex-colleghi, e per loro è un indovinello che riescono sempre a risolvere), pedaliamo subito per vincere uno scomodo dislivello.
Incontriamo Ippolito con il pick-up, che si è fermato per offrirci un passaggio almeno per portarci a Bormio dove inizia la salita vera e propria. Gentilmente decliniamo per ovvi motivi di testosterone, e lui apprezza il nostro slancio sportivo. D’altronde, come potevamo dire di sì dopo che ci ha raccontato tutte le sue imprese? Continuiamo e raggiungiamo il termine di questa primo strappo di buongiorno. Sulla nostra sinistra, illuminato dal sole, si apre il fianco della montagna squarciata dalla frana della Valpola del 1987, quella che ha fatto un sacco di disastri e provocato diversi morti. È incredibile come nei nostri ciclotour, Cits e io ci ritroviamo sempre fra fiumi, frane e impianti idroelettrici. Suggestiva e particolare è la vista dell’immensa area franata, illuminata da un raggio di sole e contornata dalla bruma che si alza dalle conifere intorno, immobile nel silenzio del mattino. Ci riprendiamo al passaggio di un camion.
Seguendo la bella ciclabile lungo l’Adda, pedaliamo fino a Bormio dove ne approfittiamo per drogarci di caffè. E poi via! Inizia la salita motivata da una gigantografia del profilo altimetrico della tappa dell’ultimo giro d’Italia passato proprio da qui. Il sorriso si ridimensiona alla vista del cartello “40° tornante, 1225 m s.l.m”. Ecco, sapendo che i tornanti si contano facendo la discesa e che il passo è a 2758 m di quota, diciamo che ci aspetta una bella fatica! Ma siamo qui per questo, d’altronde.
Saliamo discretamente bene e sono già passati 5km di salita, quando in una delle pausette che ovviamente ci concediamo, vediamo arrivare un ciclista in solitaria con le borse. La sorpresa di vedere finalmente un altro pazzo con ulteriori pesi ci fa felice e lo incitiamo. Ma lui si ferma, non aveva capito, infatti è svizzero e attacchiamo a parlare in inglese. Si chiama Dominic ed è di Basilea. Ci dice che si era accampato la notte un paio di curve più sotto, e che ha dormito sotto la tempesta con un ventaccio che gli piegava la tenda.
Riprendiamo a salire insieme e giungiamo, dopo una serie di gallerie, ai piedi del famoso versante sede di una spettacolare serpentina stradale con 14 tornanti consecutivi, che, casualmente, coincide anche con tratti di elevata pendenza. Teniamo duro e passiamo quota 2000 metri. Festeggiamo fermandoci in una baitina aperta dove ordiniamo delle birre per reintegrarci. “Really?” (davvero?). Chiede stupefatto Dominic. “Oh uncle! We’re more tourists than cyclists!” (oh zio! Siamo più turisti che ciclisti!).
Messe in chiaro le nostre intenzioni, riprendiamo la pedalata mentre il vento diventa insistente, portandosi con se del freddo sempre più rigido. Sarà stato per queste cose, piuttosto che per l’aria più rarefatta, o semplicemente perché per noi sono 35 km in salita con 1800 metri di dislivello, ma gli ultimi tornanti sono stati veramente veramente duri. Ma alla fine la gioia di arrivare in cima, su questa cima, è una cosa che mette da parte ogni disperazione. Siamo a 2758 metri di quota e siamo al Passo dello Stelvio! Ci siamo riusciti! Tutto intorno il circo che si addice ad un posto tanto preso di mira da ciclisti, motociclisti e, purtroppo, anche da automobilisti.
Un sacco di bancarelle e ristori, funivie che portano al ghiacciaio Livrio. Incontriamo la suocera di Manuela, che ci aveva detto di andare a trovarla, e così facciamo prendendo anche qualche doveroso ricordo. Con il magico sfondo dei ghiacciai del gruppo Ortles-Cevedale, praticamente alla nostra stessa quota, finalmente iniziamo la discesa! In una pazzesca serie di tornanti e pendenze più elevate di quelle del lato da cui siamo saliti, ci lanciamo a capofitto per 26 km perdendo quota fino ai 915 metri di Prato allo Stelvio. E siamo in Val Venosta.
La nostra meta è l’area campeggio verso il passo Resia, per cui dobbiamo, ahimè risalire fino a 1450 m. Ma non prima di aver visitato Glorenza (uno dei borghi più belli d’Italia, secondo le guide). Purtroppo, da questo momento, lo sfinimento per le energie usate mi ha messo in crisi nera per arrivare a destinazione. Con una parolaccia facevo solo 200 metri. Una media scandalosa. Con un’estrema lentezza, seguendo il corso turbolento dell’Adige, arriviamo a San Valentino alla Muta accolti dalla pioggia. Non proprio il meritato riposo, visto che dobbiamo sistemarci per la notte con la tenda in un campeggio dove il titolare non voleva farci nemmeno mettere perché pieno. Nonostante questo troviamo il nostro spazio e con Dominic andiamo a nutrirci in un ristorantino dove sia noi, che lui, ascoltavamo incuriositi il cameriere parlare con il tipico accento tirolese, ora in italiano, ora in tedesco.
Il tappone è fatto, da domani, nulla ci può impensierire!!
by fabio